Logica del desiderio
In evidenza: Franco Fontana, Puglia, 1987
Desiderio (dal latino de-sidus, dove de è un prefisso privativo e sidus-eris che significa stella) Ci capita spesso di desiderare cose impossibili o inattingibili, lontane o infinitamente distanti, nell’ordine dello spazio-tempo, ma anche in quello della sfera psichica. Il desiderio, come volontà di raggiungere un oggetto definito (sia materiale, sia psichico) è la leva principale delle nostre azioni, come visione specifica di quell’azione interna all’Io che è il volere. Non si può certamente desiderare senza volere, in filosofia si dice che la volontà pone all’intelletto una bontà , quest ultimo termine inteso non come qualcosa di buono (moralmente giusto), ma ciò che è bene per il nostro dominio psichico-concettuale. Desideriamo cose buone per noi, anche se questo “buono” non corrisponde al “giusto moralmente” largamente condiviso. In filosofia sono state scritte tantissime pagine (soprattutto in età moderna) su come psico-biologicamente la volontà agisce sulla mente o sul corpo; sia Cartesio (Le passioni dell’anima, 1649) sia Locke (Saggio sull’intelletto umano, 1690) parlano ad esempio di spiriti animali; gli spiriti animali sono minuscoli corpuscoli che portano il segnale nervoso lungo i nervi e vengono interpretati in quella sala d’udienza degli spiriti animali che è il cervello. Si è molto parlato di volontà libera o volontà costretta, fino al dibattito più odierno in cui la volontà è vista come strumento dell’organismo macroscopico della società che letteralmente ci dà l’illusione di scegliere o volere liberamente. Siamo liberi di scegliere ciò che è già stato deciso per noi, siamo condannati ad essere liberi (Sartre). Tralasciando il piano più tecnico del dibattito filosofico e tornando sull’orizzonte del senso comune, pensiamo al desiderio come atto volitivo giornaliero e meccanico. Mi trovo davanti ad una porta, voglio entrare, apro la porta ed entro: desiderio realizzato, nessun impedimento, libertà di azione. Se invece mi trovo davanti una leva d’acciaio di 1 tonnellata e non sono un braccio meccanico, allora il mio desiderio-volontà di sollevare quell’oggetto è inibita; non posso farlo. Volontà libera, servitù di fatto. Mi pare evidente che non tutti i desideri possono essere realizzati. Il desiderio è così strettamente connesso con l’area del sogno e del distacco dal senso di realtà. Chi, magari ha sempre vissuto di stenti, vivendo una vita mediocre, non potendo, per una serie di ragioni, realizzare i propri desideri, alberga la propria mente nell’area del desiderio impossibile. Distacco dal qui ed ora e fuga in un immaginario che può garantire agio e serenità alle sue volizioni impraticabili. Come chi, non avendo mai viaggiato, disegna percorsi immaginari o sogna ad occhi aperti. Il desiderio muove ogni architettura umana, è il fondamento stesso del pensiero, soprattutto in senso filosofico. Se pensiamo alla definizione di volonta (Schopenahuer, volontà di vivere, in tedesco Wille) assimilabile a quella freudiana di inconscio, abbiamo un quadro chiaro dell’importanza del volere, anche a livello biologico. Schopehahuer dice: possiamo dire perché vogliamo x, y, z ma non perché in generale vogliamo. L’evoluzione ha fatto sì che noi dovessimo forzatamente volere, pena la morte; se non mangiamo o beviamo, dopo un certo numero di giorni, moriamo. Se non volessimo mangiare, il deperimento sarebbe da lì a breve termine. I romantici, leggendo ad esempio l’infinito di Leopardi o Holderlin (Gli amanti, “[…] ci conosciamo poco, perché in noi domina un Dio”) desiderano l’indefinito (Caspar Friedrich, Le Bianche scogliere di Rugen), il viaggio in paesi esotici, il medioevo delle gesta cavalleresche e dell’amore puro, passione quest ultima condivisa anche dalla confraternita Preraffalita. E la peculiarità di questi desideri era la sua impossibilità. Come tornare al tempo di Lancillotto e di re artù? Come cogliere con il pensiero l’infinità o l’indefinitezza? Esistono molti oggetti, fisici e del pensiero, impossibili da essere raggiunti, Dante non aveva visto l’inferno, ma lo immagina così: gironi concentrici, contrappasso, dannazione e grado di colpa, fiume Stige. Questo accade perché anche quando non possiamo vedere, toccare, raggiungere qualcosa, lasciamo spazio all’atto della fantasia e del sogno; dal punto di vista delle neuroscienze quando il cervello elabora un’idea, questa attraverso il segnale elettrico dei neuroni, passa dalla rete neuronale alle terminazioni nervose degli occhi, mani, gambe. Così quando vogliamo vedere qualcosa, ma questo oggetto non è percepibile avvengono due cose 1) negazione dell’atto ideativo oppure 2) illusioni ottiche, allucinazioni, proiezioni di immagini interne. Il corpo è programmato all’esaudirsi del desiderio, quando questo non viene realizzato, si cede il passo alla fantasia.
Giovanni Sacchitelli