L’arte di amare
In evidenza: William Eggleston, Red head woman, Mississipi, 1974
Tutti desiderano essere amati, nessuno è in grado di farlo, molti aspirano all’amore da favola o da copertina, sacrificando ogni giorno i propri valori, in un atto di prostituzione gratuita della propria vita privata, arrischiando la propria vita per interventi chirurgici pericolosissimi (volendo somigliare a Barbie o Ken) sicuri che così facendo si arriverà all’obiettivo principale della vita: l’amore. Inutile dire che essendo la stupidità (vedi il mio articolo dialettica della stupidità) largamente diffusa come un morbo inestirpabile nell’uomo moderno, la coscienza della volontà di amare (per quanto debole e perversa possa essere) è decisamente sproporzionata rispetto alla capacità di farlo. Si confonde spesso l’amore con il sesso (su questo si veda l’illuminante Amore e Orgasmo di Alexander Lowen, 1965) soprattutto per le nuove generazioni inzaccherate di materialismo e pornografia, al punto che se si ha un rapporto solamente sessuale e pallidamente sentimentale lo si chiama amore anche se poi analizzando questa relazione si trova soltanto: sesso egoistico, mancanza di dialogo, mancanza di esclusività del partner (tradimento), mancanza di un’intesa intellettuale e interessi in comune. Non che questo tipo di rapporto riguardi soltanto gli adolescenti, anzi è frequente anche tra gli over 30 ma è condito da un livello più alto di consapevolezza che lo rende un po’ più responsabile. Pochi dunque sono in grado di amare (The Art of loving, Erich fromm, 1956) e questo è un risultato lampante della struttura consolidata della società moderna, con il trionfo dell’egoismo (vedi il mio articolo amicizia e competizione) e dell’essenza monadica degli individui chiusi in loro stessi. Il meccanismo ben oleato del profitto e del lavoro crea dei mostri di crudeltà e apparente bonarietà; falsi sorrisi, tentativi di fraternità e di vicinanza, teatri di amicizia simulata e aiuto come esempio. In tutto questo non può che trionfare l’amore sessuale, anche se questa stessa definizione è una contraddizione in termini; se l’amore è un verbo transitivo vuol dire che c’è qualcosa che transita da x a y, dunque uno scambio, ma spesso il sesso egoistico mira soltanto al piacere di uno dei partner e non si può definire amore. Ansie da prestazione, non quelle vere e proprie, ma da incontro, salvo poi trovarsi stupidamente davanti a se stessi e alle proprie maleducazioni: incapacità di ascolto, incapacità di donarsi all’altro, entusiasmo malsano, imitazione dell’altro, mancanza di una personalità da esprimere. Quanti individui sono convinti di saper amare e continuano in questa consapevolezza per tutta la loro misera esistenza. Si credono delle persone per bene, insigniti dei titoli più illustri, belli, avvenenti, quindi desiderabili, ma davvero capaci di sentimento? Si interessano ai film d’autore (spesso per il solo fatto che sono stati realizzati dai autori importanti, senza badare al contenuto) fanno fotografie con filtri speciali, hanno abbigliamento studiato, parlano senza accento. Quando poi si trovano davanti ad un ostacolo, non sono in grado di superarlo, potrebbero stare giorni senza scrivere una parola in privato sui social, salvo poi riempire la loro bacheca di contenuti contraddittori sulla loro personalità, tutto ciò che fa pensare ad una persona interessante e riflessiva, con interessi non da poco, ma questa è soltanto una maschera per la vetrina e spesso non c’è nulla sotto se non banalità e ottusità. Sempre ritornando ai social, gente che riempie il proprio spazio personale con canzoni strappalacrime, con invocazioni disperate all’amour, alla necessità di avere una compagnia sentimentale, o foto d’autore con amanti in tenere effusioni; se si va ad approfondire la reale capacità di queste persone di trasmettere sentimenti si trova un vicolo cieco. Saranno sicuramente incapaci di ascoltare (l’attenzione calerà dopo la seconda frase), manteranno una maschera sorridente di accettazione della vita dell’altro e del suo vissuto peculiare, una maschera apparente che in realtà nasconde astio, diffidenza, ingiurie. Qui l’incapacità di amare. In questo iato tra ciò che pensiamo stupidamente di essere e quello che facciamo nei fatti. Per questo motivo si sceglie la via spianata del sesso occasionale, o delle relazioni solo sessuali (anche tra amici!), perché il corpo, come la contabilità, è più facile da governare. Mentre per gli over 30 ci si aspetta un grammo in più di ragionevolezza, gli adolescenti di quelli che ascoltano Sfera e Basta o Ghali, vedono solo rapporti materiali, e ignorano come capre (senza niente togliere a queste povere bestie) l’alfabeto dei sentimenti. Troppo presi dal seguire (termine curioso che raccoglie in sé la volontà dell’uomo moderno di riportare le dinamiche della vita reale nel mondo virtuale, come si trattasse di una passeggiata vera e propria) gli amici su Instagram. Amare è un vero e proprio lavoro, non è un atto istintivo come l’amplesso. Amare significa prima di tutto accettare serenamente noi stessi, perché soltanto così si è in grado di trasmettere affetto al partner o anche all’amico. E’ un lavoro di ascolto attivo, ovvero di sospendere il giudizio su quello che l’altro ha da dire, lasciarlo libero di esprimersi senza vincoli e senza la paura di essere inquisito; imparare dall’altro, condividere, non approfittare dell’altro/a come se fosse un oggetto di piacere. Amore significa quindi soprattutto rinuncia ai propri lati negativi per l’altro, a ciò che potrebbe danneggiarlo o urtarlo nella sensibilità.
Giovanni Sacchitelli