L’inconscio prima di Freud
Prima di Freud, da un orizzonte di analisi filosofico e poi divenuto più avanti terreno di indagine della psicologia, è Leibniz nei Nuovi Saggi Sull’intelletto umano (1765) a parlare di contenuti inconsapevoli. Di idee, di cui non abbiamo coscienza, a differenza di Locke (An essay concerning human understanding, 1690) per il quale non esiste nulla che non derivi dall’esperienza e nulla di cui non abbiamo coscienza. Questo per dimostrare come molte delle idee delle scienze contemporanee (quelle di cui abbiamo maggiore considerazione rispetto alla filosofia) sono uno sviluppo di idee pregresse filosofiche. Freud e l’inconscio, noto per le sue lezioni sulla psicoanalisi, o per gli studi sociologici (Il disagio della civiltà), entrato nel frasario giornaliero quando si parla di lapsus, nevrosi, sogno, sublimazione. L’arte, la religione, ed ogni creazione della “cultura” umana sono, per Freud, una sublimazione dell’istinto sessuale. L’universo della vita quotidiana pertanto afferisce alla sfera del simbolico, in cui ogni atto è una realizzazione delle pulsioni sotterranee all’Io consapevole che agisce mediatamente rispetto alle prerogative dell’inconscio: noi agiamo nella sfera della consapevolezza pensando di essere totalmente padroni delle nostre azioni, ma siamo manovrati dalla sfera del subconscio che ha le sue volizioni o desideri spesso molto diversi rispetto a quello che noi pensiamo di fare agendo in un determinato modo. Nei primi del novecento la psicoanalisi ruppe il cardine della psicologia classica filosofica che vedeva l’Io e il mondo, la percezione di sé e dei fenomeni esterni alla coscienza come monopolio esclusivo del soggetto. Non c’era niente oltre la coscienza. Tuttavia L’Io cartesiano fu soppiantato dalle riflessioni sull’Es (inconscio nella terminologia freudiana) che distruggevano l’ancestrale primato della coscienza cartesiana: se IO penso allora IO esisto, ma l’atto di pensare è in realtà una suonata a quattro mani perché io sono pensato anche dall’inconscio. Sempre per dimostrare, e i casi sarebbero tantissimi, come la filosofia ha generato il sapere occidentale.
Molto tempo prima di Freud (cinque conferenze psicoanalisi, 1909) nel 1704 Leibniz, filosofo tedesco parla per la prima volta di idee che sfuggono alla coscienza, all’atto di percepire un’idea, ovvero all’appercezione. Secondo Leibniz ci sono delle idee che vengono assimilate senza averne coscienza, le cosidette “piccole percezioni” . Infatti anche le percezioni avvertibili derivano per gradi da quelle così piccole che non si possono avvertire. Leibniz fa l’esempio del rumore del mare, che è il risultato della somma di piccole onde che, essendo piccole percezioni, noi assimiliamo inconsciamente. Riportando il pensiero dell’autore:
“D’altronde vi sono mille segni i quali mostrano che in un istante vi è in noi una infinità di percezioni, prive però di appercezione e di riflessione, cioè cambiamenti nell’anima stessa, di cui non ci accorgiamo perché le impressioni sono troppo piccole o troppo unite tra loro, in modo da non avere nulla che le distingue partitamente; ma, unite ad altre, non mancano di produrre il loro effetto e di farsi sentire per lo meno confusamente, nell’insieme”(p. 87, Nuovi Saggi sull’Intelletto Umano).
Leibniz dunque anticipa l’idea freudiana di inconscio, come attività inconsapevole che produce concezioni indipendentemente dall’attività della coscienza, come ad esempio nel sogno (terreno principe dell’attività dell’inconscio, dove avviene la formazione di compromesso ovvero una rappresentazione in immagini dei desideri inconsci e il linguaggio della realtà della coscienza). In realtà si può già parlare di attività inconsapevoli nella psicologia aristotelica nell’atto di reminiscenza (come serie di azioni psichiche che hanno la finalità di riportare alla coscienza un contenuto che è “caduto” da essa, quindi chiaramente inconscio) o la memoria stessa, essendo un’attività che comunque nella sua struttura che esula dal controllo della coscienza.
Giovanni Sacchitelli