Sergio Colombo è un modesto agente assicurativo, vive ad Albenga (riviera ligure, Provincia di Savona), e non sa l’inglese. Sergio è impersonato da Paolo Villaggio, in un film del 1995, molto piacevole, che ancora può essere annoverato tra i film ben riusciti dell’attore genovese, nonostante siamo già a metà anni novanta. Molti temi o caricature sono presi direttamente dalla tradizione di Fantozzi, e il ruolo di Padre-professore ci porta direttamente al protagonista di Io speriamo che me la cavo (1992). Uno degli attori, il piccolo Mario Bianco era già stato al suo fianco nelle avventure napoletane del professor Sperelli. Sia in Speriamo che me la cavo che Io no Spik Inglish (il nome del film) Paolo Villaggio si rapporta al suo piccolo clone riguardo agli argomenti classici del cibo e della ghiottoneria. Il film si chiama appunto Io no spik english, per la regia di Carlo Vanzina, è posso dire con certezza che si tratta un cult da non sottovalutare. Seppur l’agente assicurativo Sergio sia ormai immesso nel clima pieno di modernità degli anni novanta (con il cambiamento relativo delle abitudini dei bambini) può essere considerato come una piccola riproduzione di Io speriamo che me la cavo, con l’aggiunta di situazioni tipiche fantozziane. Sia come professore (io speriamo che me la cavo) che come agente assicurativo, Paolo Villaggio parla del rapporto adulti-bambini in maniera delicatissima e pastello. La saggezza di uomo vissuto si incontra con la sua ostilità alle regole, che lo riportano vicinissimo al mondo dei bambini. Infatti, dopo le frizioni iniziali, Sergio entra di buon grado nelle grazie della combriccola di “studenti”, diventando il loro mentore e beniamino. L’incontro tra il maturo Sergio, padre di una figlia che non sembra ripagargli dell’affetto che merita e marito di una donna che non perde l’’occasione per denigrarlo, con i piccoli studenti italiani all’estero, avviene proprio per una necessità di stile: in azienda se si vuole essere competitivi bisogna conoscere l’inglese. Sergio ne è a digiuno, e per evitare di essere licenziato decide di fare un corso intensivo ad Oxford, alla fine del quale è convinto riuscirà a parlare un po’ di inglese. Fa le valige e parte. Arrivato in Inghilterra si accorge di aver perso la valigia (qui tornano i motivi fantozziani), riesce tuttavia dopo vari sforzi a farsi capire ed approda nel collegio. Qui viene accolto con imbarazzo e stupore, in quanto gli inglesi che reggono la casa non si aspettavano che fosse un adulto, il corso infatti era rivolto a bambini-adolescenti. Sergio inizialmente vuole rifiutare, ma dopo iniziali conflitti generazionali con i corsisti si integra bene nel gruppo. Partecipa alle lezione, alla conversazione, alle gite fuori porta. In questo nuovo mondo, si sente accettato, egli ha un ruolo nella compagnia. Parla di tutto con i suoi compagni di scuola, persino degli argomenti tabù. Arriva ad un tale livello di confidenza con i suoi piccoli amici che accogliendo l’idea di accompagnarli per una gita “culturale” a Londra (inizialmente pensa di portare i piccoli alle Tate Gallery, ben presto viene distratto dalla partita di calcio Sampdoria – Arsenal), alla fine si ritroverà con loro in un locale a luci rosse. E’ ben voluto da tutti i suoi compagni, a differenza di quanto avveniva in Liguria, dove era umiliato dalla moglie e della figlia ribelle (e di facili costumi). Qui impara un discreto inglese, e cosa più importante apprende il modo di fare dei più piccoli. I bambini “ragionano” in modo diretto, per pegni, “io ti do questo tu mi dai questo”, un etica relazionale molto più ricca e stimolante dei rapporti aziendali asettici. Qui il ritorno ai motivi fantozziani del megadirettore galattico / impiegato semplice. Il tema aziendale inoltre dell’importanza di conoscere l’inglese. Quanto è attuale questo requisito! Il titolo “io no spik english”, non soltanto è una dichiarazione di ignoranza di un impiegato assicurativo vecchio stampo poco incline al cambiamento, ma è anche (nella sua forma italo-inglese) una valutazione primaria dell’importanza della lingua italiana. Nell’ambiente azienda (su questo si guardi un mio articolo Soggetto e azienda) l’ìmportanza di essere competitivi sul mercato arriva a distruggere anche le nostre radici! Siamo italiani, abbiamo un termine per ogni cosa, perché asservirci al dominio intercontinentale dell’inglese? Molti non capiscono che vuol dire rinunciare alle nostre radici e dimenticarsi anche la grammatica italiana (che è bellissima!). Oltre al tema aziendale (che riporta direttamente alle strutture dei personaggi fantozziani), c’è il tema imprescindibile, di cui ho fatto menzione all’inizio dell’intervento, della valutazione positiva del mondo dei bambini. Alla fine del film Sergio rimpiangerà i suoi piccoli amici, e il mondo nel quale quest amicizia si è sviluppato (la meravigliosa Inghilterra). Una volta tornato ad Albenga si scontrerà con la superficialità della moglie  e della figlia, alla quale subitaneo rinuncia, prendendo per mano due bambini e giocando con loro in spiaggia.

Giovanni Sacchitelli

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