Conosciamo tutti quel verso in Hotel California degli Eagles che dice “such a lovely place”. E alle orecchie immediatamente ci viene il seguito della canzone.
Alzino la mano quanti di noi hanno storpiato una canzone almeno una volta nella  vita pur di cantarla a squarciagola da piccoli perchè l’amavano.
Sì, perché quando ancora non era stato inventato Shazam o non avevamo Youtube su cui scrivere lyrics vicino al nome di un amato titolo, pur di portarcela sempre in tasca una canzone, concedevamo a noi stessi il lusso dell’imprecisione.

E’ successo che ad alcuni such a lovely place, presi dall’emozione, dal pezzo, dal canticchiare, dal ritmo, è diventato such a lonely place.
Beh. Qui è solo una consonante che cambia il senso. Sono sicura che nel nostro repertorio abbiamo strafalcioni ben più ameni di questo, eh eh. Dai, non resisto. Scriveteli nei commenti, vi imploro. Si narra che in famiglia, negli anni sessanta, ci fosse una cugina sciocca che cantasse “il mio ditino è di stare accanto a te”, nella canzone Montagne Verdi di Marcella Bella. Ma shhhh, non diciamolo a nessuno.

Quindi c’è una regola fissa su quello che le canzoni devono dirci o non dirci o ci è concesso che ci appartengano e basta?
Uhm.
La seconda che hai detto.
Quello della musica è un linguaggio che parla direttamente alle emozioni. Così come quello della scrittura parla direttamente all’immaginazione. Ehi, ma le canzoni sono scrittura e musica. Emozioni più immaginazione. C’è forse una combinazione più esplosiva? Aiuto!

Madò, sì, ho detto emozioni. Tutti si scandalizzano quando se ne parla, ma siccome non siamo degli androidi galoppanti sui selciati come in quell’orrendo cartone animato di Kyashan (fatevene una ragione, lo abbiamo visto davvero, e lo abbiamo visto da piccoli), noi EMOZIONI lo scriviamo, e talvolta ne parliamo anche. Anzi, teh, lo scrivo pure maiuscolo. Le emozioni e l’immaginazione possono essere una combinazione di salvezza, o di pura. assoluta. completa. irreparabile. somma. disperazione.
Ci sono canzoni che appartengono a noi per motivi noti o ignoti, e che basta sentirne le prime note per essere trasportati nel mondo di noi che c’era intorno a quel pezzo, in quel tempo.
Canzoni che hanno accompagnato le nostre più grandi storie d’amore, e che fortunatamente si ripropongono diverse e in contesti diversi, perché altrimenti non le avremmo mai più sentite.
Canzoni che sanciscono la fine di una storia, e che ci rifiuteremo di riascoltare per tutta la nostra vita.
Canzoni sciocche che canti a squarciagola con i tuoi figli quando impari a ridiventare figlio insieme a loro. 
Canzoni che ti svelano e ti incazzi quando scopri che sono state scritte.
Canzoni che sai a memoria e che canti con una voce da chiesa in macchina e che dalle prime due note sei spacciato. Sei lì.
Canzoni che canti sbronza e sola per liberarti.
Canzoni che si associano ad una foto in un cantuccio che scopri intatto dentro te e in cui vuoi abitare non importa quanto cazzo di male faccia.
Canzoni che vorremmo essere noi. Canzoni che siamo noi.

La cosa terapeutica, taumaturgica, dagli incredibili e imprevedibili effetti, è ricordare quali sono le canzoni che dicono di noi, capire se occorre cercarne altre e perchè, e lasciare spazio a quali canzoni possiamo ancora scoprire che entreranno a far parte di noi. Quanto bello è sapere che una fetta di chi siamo giace in una canzone? E’ più rassicurante, così, andare alla ricerca di noi stessi. La nostra vita si dipana come una narrazione e noi possiamo sceglierne le direzioni, i grandi snodi, esserne gli eroi o i vinti, e possiamo certo anche sceglierne la colonna sonora. E adeguarla a quello che man mano accade. Forse prima faceva paura. Ora no. Forse.
Che canzone siamo?

Photo by Mpumelelo Macu

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