EURIBIA
Non si arriva a 43 anni con un’anima sola; ne ho ospitate a decine, nel tentativo di arrivare all’attuale versione di me.
Inciampato in un prisma di stati d’animo inconsapevoli e svogliati, appiccicato in vicende d’odio e di paura e di euforia alterata, quando nelle discoteche il sudore nutriva i desideri e ti ritrovavi addossato a un muro con in bocca il sapore breve e aspro di un cocktail non tuo.
Eppure.
Fra tutti, un sentire mi taglia la pancia: nostalgia.
Ma tu lo sai quante volte ho desiderato tornare all’Euribia?
Il peschereccio in riparazione nel cantiere navale, con lo sconosciuto nome di una dea greca del mare; ci bastava appoggiarvi una scala e salirvi, poi la notte era un luogo di stelle e fruscii solo nostro: era la nostra casa clandestina.
Odori disperati; di legno verniciato, di pelle raggiunta, di corde bagnate, di cocco nei capelli e il mare che possedeva ogni arrendevole senso.
Dappertutto luccichii a pelo d’acqua, il cuore in gola più che altrove, la luce del faro che a intermittenza rivelava i tuoi implacabili sguardi fatti di abissi.
Dal piano bar, sospinte dal vento estivo, arrivavano stropicciate canzoni fino a noi.
“…ma quando un giorno sarai lontana e vedrai il cielo quando si colora, pensami almeno per un momento, pensami almeno per mezz’ora…”
Il cantiere è ancora qui, ma adesso è inespugnabile; guardo da lontano quel pezzo di riva e penso che – fra tutte – la mia anima autentica io l’abbia lasciata lì, in una conchiglia che non ha mai raggiunto il largo e che sussurra da sempre il lungo suono del mare e del tuo nome lontano.
Uno scritto di Sabino De Bari durante il nostro Alta Fedeltà, corso di scrittura online e interattivo condotto da Manlio Ranieri
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