La vie de bohème
La storia di tre artisti votati ciascuno alla sua Calipso che si uniscono casualmente nel mélange della loro esistenza bohèmien. Un film del 1990 per la regia di Aki Kaurismaki, regista finlandese noto agli esperti del settore come “regista degli ultimi”. Dello stesso anno è la fiammiferaia con Kati Outinen. Ambientazioni cupe e malinconiche, filtro di ripresa in bianco e nero, personaggi serafici e profondi. Tutto parla nel cinema di Kaurismaki, tutto è un rimando a qualcos’altro di diverso dai normali stili di vita (come le sigarette o l’abuso di caffè), quelli normali. Sono tre i protagonisti di questo film: un musicista, uno scrittore, un pittore. Tra le vite disordinate di questi eroi della miseria (come cita il sottotitolo del romanzo di Henry Murger) fraseggia la femminilità di donne talvolta per un momento, talvolta da amare (anche se la donna del desiderio, che è Mimi, alla fine perisce con l’arrivo della Primavera. Un bel contrasto tra il simbolo della rinascita della vita e destino inevitabile di decadenza); la solitudine che viene in diversi modi osteggiata dai vari caratteri del film. Ognuno di loro sogna il successo, con i mezzi sublimi dell’arte che è poco o niente apprezzata dal mondo borghese. Questo stile di vita bohème vuole essere un’antitesi per definizione al regolare fluire dell’esistenza della classe media, per tendere agli ideali regolativi di purezza, orgoglio, sapere, amore che sono quelli predicati dall’arte. L’arte che in questo film è musica, letteratura, pittura. I prodotti di queste discipline vengono somministrati all’occhio materialista e utilitarista della civiltà borghese che li circonda, vengono rifiutati e derisi. Seppure parliamo di un film di quasi trent’anni fa, l’insegnamento ottocentesco (da cui il film è tratto, il romanzo di Henry Murger) è attualissimo e spendibile nella società contemporanea. Il divario tra purezza dell’arte e materialismo della società è sempre tema di dibattito, almeno per gli individui intelligenti. Il film inizia con la mattinata ordinaria di uno scrittore, Marcel il quale indugia tra le coltri impolverate del suo letto prima di iniziare la sua giornata bohème. Dorme quasi vestito, nella sua stanza poco elegante, per niente accogliente. Legge affisso sulla porta della sua stanza un ordine di sfratto per mancato pagamento della pigione. Affronta il padrone di casa con aria sorpresa come se non ricordasse di non pagare l’affitto; riesce ad aggirarlo fingendo di dover ritirare dei soldi in banca (ma in realtà non possiede nulla). Ritorna nel suo appartamento e ritrova il nuovo affittuario Schaunard che è un musicista, alla fine decidono di dividere l’appartamento. Il caso vuole che lo scrittore incontri il pittore Rodolfo il quale in un ristorante gli offrirà da mangiare una trota bicefala. Rodolfo è un uomo che parla poco, dipinge quadri dalla bellezza discutibile e vorrebbe una donna. I tre finiscono per diventare amici mostrando l’un l’altro i prodotti delle loro arti particolari. Un ingaggio con un editore rende Marcel momentaneamente ricco (quella stessa instabilità di situazioni che caratterizza l’opera cardine di Flaubert L’Education Sentimentale), diventa caporedattore in una rivista e coinvolge gli altri suoi amici come collaboratori. Si passa da situazioni molto antitetiche tra loro, è quel modo tipico di vivere che è bohème. A metà tra mendicante e uomo civile. Prima si è poveri, poi si diventa benestanti. La fortuna sorride ai tre artisti per un po’ di tempo, durante il quale si organizzano gite in campagna e si sogna la gloria letteraria di Balzac. Ma la disgrazia torna ad incombere sulle loro vite. Per chi insegue i sogni dell’arte il fato riserva soltanto instabilità e insuccesso.
Giovanni Sacchiteli