Finestre (storia di un incontro mancato)
Hanno scelto le mie foto e io sono alla mostra collettiva ora. La SV è gentilmente invitata all’inaugurazione della mostra. Conferma la partecipazione? Eh sì, ci sono. Non mi andava, non mi va. Mi sento fuori di terra come se fossi un albero appena sradicato e non ancora ricollocato. Quasi non respiro, fotosintesi clorofilliana…ho bisogno di radicare e di spaziare nell’immensità dello spazio sotto e sopra di me. Così non riesco. Mi sento così, fuori da tutto e tutti. Mettiti a tuo agio, è casa tua, ci sono le tue foto. Eh no, non è casa mia…mi metto a mio agio? Il pantalone è un po’ stretto e la camicia si spiegazza se mi siedo. Che mi frega, mi siedo, anzi mi metto comoda con le gambe larghe. Le donne accavallano le gambe, molto elegante ed educato. Non mi va, non respiro e non mi sento a mio agio, almeno siedo un po’ a cazzo, come mi va.
E quella parla e quell’altro pure e quello ride e quell’altro mi guarda e qualcuno mi saluta e se ne va, qualcun altro si avvicina. Fanno domande e fanno foto guardando le foto, le foto delle mie foto e le foto di chi guarda le foto e di me a mio agio, non proprio, che guardo le foto. E sono stanca, vorrei andar via, mi piace che guardino le mie foto e mi piacciono alcune domande, non tutte però, alcune mi fanno sentire sradicata e, appunto, non ancora ricollocata. Cosa vuole sapere? Ma cosa c’entra? Ma chi è questa qua? E questo qui cosa crede di aver visto e capito? Alcuni però fanno domande strane o delicate o suggestive e me le aspetto ma non così o non me le aspetto davvero. Ed è interessante ascoltare e rispondere un po’, un po’ no, un po’ sì e un po’ forse, ti lascio immaginare, vedere ciò che vuoi.
Il vino che mi hanno offerto non mi piace, è un bianco così secco che mi sembra di sentire anche le ossa inacidirsi di aspro. Vado in piedi, fuori da qui ad arieggiare le radici tanto non riesco a collocarmi tra tacchi alti e abbronzature e visi e parole che potrebbero essere interessanti ma c’è troppo, troppo di tutto, troppo di tutti, ho bisogno di meno. Vado fuori ma mentre esco e finalmente sono inosservata, i miei occhi osservano altre foto e sculture e quadri e colore e nero e confini e aperture e spazi. Ma non ho domande per loro, ho solo parole e storie che crescono in me e si moltiplicano e si sovrappongono, si camminano sopra, si spintonano e mi chiedono di essere scritte, ricomposte, vissute. Mi gira la testa, forse il caldo, forse il vento secco che dalla porta mi ha soffocato la gola o forse queste storie che mi picchiano le pareti delle tempie e del cuore, da dentro, come se avessi alieni o figli che bussano e chiedono un parto veloce e immediato. Gira tutto, cerco una sedia, è lontana, provo a rovesciare la testa indietro e a prendere respiri. Fai un bel respiro. Inspira. Espira. E continua… Continuo a occhi chiusi. Non so se qualcuno mi vede, penserà è matta, sta male, è un’artista matta oppure sta male, ‘sta matta! Che mi frega… va meglio, mi sento meglio, hanno fermato i giri del mondo.
Apro gli occhi. Resto con la testa rovesciata all’indietro, qualcuno ha appeso dei quadri. Alcune corde sospendono grandi quadri come farfalle rapaci in un volo congelato. Stanno volando sulla mia testa ma restano ferme senza sparire dalla vista. I quadri si osservano in verticale, appesi a un muro, una parete, dentro uno schermo oppure in orizzontale su una tela non ancora appesa, su una pagina di un libro, in un catalogo. Non li ho mai visti volteggiare fermi in orizzontale, un po’obliquo e sopra le teste, come stracci di cielo regolare, finestre di pennellate poggiate nell’aria che accarezza le teste.
Sprofondo nel colore, nelle forme e nelle finestre di quest’artista che lentamente sta inghiottendo tutto: le persone, le foto, i quadri, i tacchi, le domande, le abbronzature, le pareti, il vento. I quadri lassù aspirano anche me, risucchiano il mio corpo che non ha più forma e lo masticano in un’incessante metamorfosi di impasti, miscele e sfumature forti. Che ne so io di queste stagioni di colore che si appiattiscono e si protendono voluminose sopra di me, colando negli spazi tra me e tutto? Non ho più le guance, sono state stirate da destra e da sinistra come nei pizzicotti della zia antipatica…che beeeella che sei! Ma non è una zia, sono le azioni di quelle mani che pennellano la tela…il quadro non è finito, continua a dipingersi e a tirare scie di bagliori che dissolvono il mio viso in una nuvola liquida di colori che nascono senza sosta l’uno dall’altro come parassiti benevoli che mi ammalano di meraviglia.
Lui o lei dipinge forte, ha dipinto forte e i suoi quadri mi risputano in terra ricollocata nella mia testa rovesciata all’indietro che si addrizza e sorride sorniona.
Qualcuno mi guarda, qualcuno mi fa cenni, qualcun altro aggrotta sopracciglia e sembra non capire cosa faccio, sembra non riconoscermi. Infatti non sono io. Sono volata nelle finestre, in quelle pennellate che mi hanno masticato e risputato sorniona. Lui o lei ha dipinto forte. Anch’io ho fotografato forte e mi serviva rovesciare la testa all’indietro per tornare a prima, a quel prima di prima per non essere più come prima.
Testo e disegno di Anna de Romita