Edward
In questo tempo di ripresa in cui tiriamo lenti il fiato, accogliamo un sollievo misurato, che è anche un accorto guardare dietro l’angolo, vigili alle cose care e necessarie, cauti nel sollievo e luminosi nei sentimenti.
Questo racconto di Simona Soci, autrice esperta e profonda, amica e corsista di Colori Vivaci Magazine, ci offre un calibro narrativo per i mesi appena trascorsi. Mesi in cui narrazioni si sono dispiegate vere dove le stavamo solo immaginando, o hanno trovato un finale quando ancora voleva esserci una storia da narrare. Tante storie hanno continuato silenti ad agire in case, ospedali, messaggi nei telefoni, selfie culinari, playlist, ricerche di senso audaci.
È questo, con la dolcezza misurata delle cose autentiche e una empatica implicazione dei sentimenti, che Simona ci racconta. Buona lettura, vivaci.
Edward
La luce passa sopra la falsa parete che nasconde la zona notte al resto del loft. Enrico si volta dall’altra parte, lo sguardo rivolto verso il dipinto comprato all’asta poco prima di Natale. Un volto sfumato, pallido come la nebbia, a cui si sovrappongono sei tratti rossi, interrotti, come sbarre scorrevoli rimaste a metà strada.
Allunga la mano verso il comodino, afferra lo smartphone di ultima generazione, apre le chat abbandonate poche ora prima. Le ultime tre conversazioni terminano con la fotografia di un piatto di coccio pieno di pollo al curry.
Rilegge i messaggi che precedono l’immagine. Sua madre alle otto e quaranta gli aveva scritto: “Ho comprato dieci confezioni da dodici rotoli di carta igienica multistrato, dieci bottiglie di alcool denaturato e dieci di Lysoform, legumi secchi, carne in scatola, tonno, farina, confettura, latte condensato, olio d’oliva, passata di pomodoro e farfalle Buitoni. La cucina è piccola, ma camera tua ormai non serve più a nessuno e ho messo tutto lì sul letto. Meglio che tu non venga a trovarmi, immagino tu lo sappia.” Sua figlia alle dieci e trentaquattro: “Credi di essere Dio? Cosa ne sai? Arrivi adesso a preoccuparti?” La donna con cui ha una relazione da circa due mesi alle undici e ventidue: “Hai visto TGR Leonardo? Pare sia ingegnerizzato in laboratorio, l’ho sempre pensato che l’avrebbero fatto, qualcuno ha già il vaccino, non credi?”
Avrebbe potuto rispondere: “Mamma, non è necessario…”, “Amore, sono tutt’altro che Dio, cercavo solo di spiegarti…”, “Questa dell’ingegnerizzato è una puttanata colossale…” Avrebbe dovuto, forse, ma in tutte e tre le conversazioni sotto la fotografia del piatto trova scritto soltanto: “Questa sera ho cucinato pollo al curry.”
Riappoggia lo smartphone sul comodino e va in bagno, rasa barba e capelli. Si carezza la nuca, indugia sulla sensazione di nudità del cranio glabro, tasta le ghiandole dietro le orecchie, la pelle un po’ ripiegata sulla nuca. Poi si veste, camicia bianca, jeans blu scuro, mocassini, giacca. Scende nella zona giorno, si prepara un caffè e una spremuta d’arancia fresca, due fette di pancarrè tostato con burro e composta di lamponi bio. Mentre sorseggia riprende in mano il cellulare e ricontrolla la chat. Sua madre: “Non esagerare con le proteine, alla televisione hanno detto che una dieta equilibrata è fondamentale per rafforzare le difese immunitarie. Immagino che tu lo sappia.” Sua figlia ha letto. La donna con cui ha una relazione da circa due mesi: “Da quando cucini? Hai sempre il frigo vuoto, non rispondi? La storia del plasma incredibile, tu cosa dici?”
Scrive a tutte e tre: “Questa sera coniglio all’orientale.”
Tre messaggi nella chat i Gioielli del Corona. Enrico raccoglie due briciole che campeggiano sul bancone della grande cucina stile industriale, mette piatto e bicchiere nella lavastoviglie, ascolta lo scatto morbido dello sportello, apre l’anta del mobile in ingresso, prende le chiavi della BMW e una mascherina, la indossa e, dopo essere uscito di casa, legge i messaggi sul gruppo.
Anna: “Pablo estubato da 24 ore e regge!”
Cesare: “Grande! Grazie della notizia.”
Anna: “Dice che ci vuole invitare a grigliata con la sua famiglia quando lo dimettono.”
Cesare: “Tutti alla festa di Pablo Estubar… ahahah.”
Gabriela: “ahahah… Bene, ci voleva una buona notizia.”
Enrico ha lo sguardo appannato mentre cammina verso l’automobile, risponde con un messaggio per tutti: “Grazie. Esserci trovati a lavorare assieme è un regalo che ci ha fatto il Bastardo, ma restiamo stronzi e non facciamoglielo sapere.” Prima di mettere in moto da un altro sguardo alla chat e aggiunge: “Edward?” Al primo semaforo Ben Harper: “Forever always seems to be around…”, la stessa playlist dal primo giorno di intensiva, andata e ritorno, nello stesso ordine, tutti i giorni, No Ceiling, Forever, Parachutes, Dream On, mentre prepara mentalmente la lista della spesa da fare al ritorno: bocconcini di coniglio, limone, coriandolo, aglio, cardamomo, patate. Corsia preferenziale Esselunga con tesserino medico. Su Dream On parcheggia, mette in folle, spegne il motore, indossa la mascherina e gli pare di vedere le dita raggrinzite di Steve Tyler che picchiano sui tasti di un pianoforte a coda bianco, il suo volto che è una maschera, i capelli sembrano quelli di Edward: “Sing with me if it’s just for today, maybe tomorrow the good Lord will take you away.”
Entra in ospedale, si cambia e si avvia verso il reparto. Trova Gabriela, sono di turno assieme, e iniziano la procedura per indossare i dispositivi di protezione individuale. La maschera filtrante aderisce alla piaga che ha sul naso, prova a spostarla, ma fa comunque male. Poi il visore, stando attento alla cucitura e a non stringere troppo, altrimenti il mal di testa lo costringerebbe a uscire dopo qualche ora. Segue Gabriela con attenzione, devono controllarsi a vicenda. Fuori dallo spogliatoio ci sono le piastrelle bianche e nere a scacchiera. Enrico le guarda, mettono tutto in prospettiva. In fondo al corridoio incontra un’infermiera che ha appena smontato. Sul bordo del visore c’è scritto Giulia.
Enrico si ferma un secondo: “Ciao Giulia, come va? Non eri di turno ieri?”
“No, dev’essere stata l’altra Giulia.”
“Ah, siete in due?”
“No, tre.”
Tutto attorno c’è silenzio. Enrico trae un respiro profondo: “Edward come sta?”
Giulia solleva lo sguardo verso di lui: “Edward?”
“Scusa, hai ragione, intendevo Beatrice.”
“Ah, Beatrice. Ha un’insufficienza renale, l’abbiamo attaccata alla macchina per la dialisi”, dice lei e scuote la testa, “cosa c’entra Edward?”
“È un soprannome… per via delle unghie”. Enrico risponde quasi sottovoce.
Beatrice ha la carnagione chiara, capelli neri, arruffati, e unghie ricostruite color argento, che continuano a crescere, a dispetto del Bastardo.
A Enrico sembra che gli occhi di Giulia sorridano.
Lei aggiunge: “La collega di ieri ha parlato con la sorella di Beatrice, le ha raccontato che era andata a una festa, travestita da Black-Cat, per quello le unghie sono così. Due settimane fa era carnevale, sembra impossibile.”
Enrico la guarda camminare verso lo spogliatoio: “Sono rimasto indietro con gli eroi” e si appoggia al maniglione della grande porta a doppio battente. C’è un foglio A4 attaccato con lo scotch: CORONA
Giulia si volta verso di lui: “Pare sia una nemica di Spiderman.”
Alle sette e trenta suona il telefono, il primario chiede a Enrico quanti posti ha.
Enrico risponde: “Nessuno. Nessun posto libero.”
In reparto la terza Giulia ha preso il posto di Giulia. È scritto sul visore, stessa grafia, stessa altezza, gli occhi si assomigliano, forse più scuri, difficile dirlo attraverso la plastica. Cambia le flebo, annota temperature, saturazione, pressione, Enrico controlla le prescrizioni, quello che hanno a disposizione, parla con Gabriela, decidono le terapie.
“Proviamo con il plasma.”
Edward ha un’infezione, la febbre è risalita.
Scade la quinta ora. Giulia finisce il giro e va a spogliarsi.
Enrico e Gabriela la raggiungono nella stanzina, preparano un caffè e si siedono sul divanetto, appoggiano la testa all’indietro, si massaggiano le tempie. Le mascherine chirurgiche sono leggere, Enrico pensa che è come stare in mutande.
“A casa tutto bene?” chiede Gabriela.
“Direi di sì”, sospira Enrico mentre stira la schiena, “Mia madre ha scorte di carta igienica e disinfettanti per i prossimi dieci anni. Mia figlia non mi parla e la mia ragazza segue la pista del virus sintetizzato in laboratorio. Andrà tutto bene.”
“Hai una ragazza?” Chiede Gabriela giocherellando con un braccialetto, poi si volta verso di lui: “Scusa, sono un’impicciona.”
“In realtà non è una ragazza, è una donna, una con cui esco.”
Gabriela ride: “Non si può uscire, dovresti saperlo.”
Giulia cerca qualche cosa in una borsa, tira fuori una boccetta di plastica bianca, l’allunga verso di loro per mostrarla: “Vorrei sistemare le unghie di Edward, posso portarla dentro? È acetone.”
Le labbra di Gabriela passano dal sorriso a una smorfia di rughe sottili, risponde a voce bassa: “Certo, nessun problema. È un bel pensiero, le farà piacere.”
Giulia mette in tasca l’acetone: “Forse.”
Enrico si alza: “È ora di tornare dentro, andiamo a rivestirci.” Sta piangendo.
All’Esselunga la fila gira attorno all’edificio squadrato, gli ultimi guardano Enrico dirigersi verso l’ingresso, qualcuno commenta, una signora con la mascherina a protezione del doppio mento gli indica che la coda parte da dietro. Enrico le sorride e procede verso l’ingresso. La signora alza le spalle, un ragazzo dietro di lei borbotta.
Enrico mette nel carrello bocconcini di coniglio, limone, coriandolo, aglio, cardamomo e patate. In fila alla cassa sente dire a qualcuno che non si dovrebbe andare al supermercato per quattro cose inutili, che bisogna fare la spesa una volta alla settimana al massimo, che bisogna organizzarsi.
Assieme allo scontrino riceve due bollini e un personaggio Marvel. La cliente dietro di lui si avvicina per chiedergli se può lasciarglielo per suo nipote, sta cercando l’uomo ragno. Enrico fa cenno di no con la testa e si scusa: “Li colleziona anche il figlio di una mia amica.”
Prima di risalire in macchina controlla il telefono, sedici notifiche, tre nuovi messaggi su i Gioielli del Corona, il primo è un’immagine, lo schema di un ventilatore.
Gabriela: “A San Donato hanno provato a fare così.”
Cesare: “A quest’ora preferirei una pompa a Gin Tonic, ma mi accontento, grazie.”
Enrico scrive: “come va Edward?”
Poi fa scattare la serratura, si siede, mette le mani sul volante, guarda il sacchetto della spesa sul sedile del passeggero, cerca con la mano il pacchettino di plastica gonfio d’aria. Lo osserva per qualche secondo, spera di trovare Black-Cat, sarebbe un buon segno.
È Capitan America: “Fanculo.”
Dopo avere finito di cuocere il coniglio Enrico riprende in mano lo smartphone e scorre i messaggi non letti. Sua madre dice che ha ordinato dieci mascherine ffP3 che le verranno recapitate entro una settimana, “Immagino tu sappia che sono le più sicure”, sua figlia gli chiede se può farle una ricarica perché ha finito i Giga, la donna con cui ha una relazione gli scrive: “Sei uno stronzo.”
Enrico impiatta. La carne al centro, i cubetti di patate dorate ai lati, la buccia di limone a listarelle sottili e le foglie di coriandolo innestati nella carne, come capelli. Scatta una foto. Sembra un volto. Edward, forse. Enrico pensa al finale del film, Kim racconta alla nipotina che Edward non può invecchiare e che lei ha deciso di non farsi più vedere da lui, per rimanere giovane e bella nella sua memoria. È così che finisce Edward mani di forbice.
Poi carica l’immagine per inviarla a sua madre, a sua figlia e alla donna con cui ha una relazione. Scrive la didascalia: “Ho cucinato coniglio all’orientale.” Invia.
Nessun messaggio sulla chat i gioielli del Corona e la donna con cui ha una relazione sta scrivendo… sta scrivendo… sta scrivendo…
Enrico butta il coniglio all’orientale nell’umido, lascia il piatto vuoto vicino alle piastre a induzione di ultima generazione, di fianco alle padelle sporche, a un bicchiere di cristallo e a una bottiglia di Cabernet Sauvignon che non ha aperto. Prende le chiavi della BMW e una mascherina.
Aspetta che la sbarra dell’ingresso notturno si alzi e su Dream On parcheggia. Controlla di avere il badge per entrare e tocca la mano aguzza di Capitan America. Vede il volto di Steve Tyler, le dita raggrinzite, i capelli. E quelli dell’obitorio che passano da dietro il padiglione. Portano una cassa di zinco chiusa.
“Edward non invecchiò.”
“E tu nonno, come lo sai?”
“Perché ero là…”
Nessun nuovo messaggio sulla chat i gioielli del Corona.
Un racconto di Simona Soci.
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Foto di copertina Photo by Lauren Mancke on Unsplash