Toccami le clavicole. Toccami le ciglia. Toccami i polsi. I capelli.

Toccami le dita. Toccami gli alveoli. I fianchi. Le arterie.

Toccami le caviglie. Gli avambracci. Lo sterno. Il sistema linfatico.

Tocca tutte le mie autostrade, scorrimi dentro come il traffico all’ora di punta.

Toccami anche la milza. Soprattutto la milza.

Mi piace pensare che tutto l’umor nero sia qui, nella milza. Come lo Sturm und drang. Tutte quelle poesie d’amore e morte, picari e dei, ali e catene.

Quelle poesie del sangue che oggi parlerebbero in bit e pixel. Perdendosi come me in questa città sconosciuta. Questa città mascherata come tutte le città.

Io non riesco a vederlo più quel piccolo neo sul tuo mento. Devo esserti molto vicina, fratello mio, per indovinarti il sorriso negli occhi. Misurarti le palpebre, le pieghe alle ciglia, la fronte.

Ma ho paura, davvero paura di avvicinarmi.

Perché potresti dirmi: che vuoi?

E mi spezzeresti il cuore.

L’automatismo di tirarsi su la maschera al primo passante.  Frettolosamente, sentendoci in colpa perché siamo bravi cittadini. Ci guardiamo intorno se accendiamo una sigaretta e al supermercato scegliamo l’ultima riga gialla per non sentirci invadenti.

Perdonami, se vorrei abbracciarti. So che non posso. Ed è un abominio cercare un contatto. L’ho fatto ieri: sfiorare qualcuno. E non potevo. Allora ho detto un Padre Nostro e dato un pugno al muro.

Questo non sapere il modo giusto. Questo tendere la mano e ritrarla, per rispetto. Per paura. Sepolta la prossemica, restano le parole. Mendaci come le pubblicità e le lunghe durate. Una memoria procedurale stravolta, la distanza incalcolabile tra la gente, il mutismo selettivo del corpo.

Toccami. Vorrei urlarlo da tutte le finestre.

Fratello mio, avrei tanto voluto accarezzare la manina di tua figlia, al parco. Darle una caramella. Ne avevo tre in tasca. E sono sicurissima che lei avrebbe scelto quella alla fragola.

Perdonami se non ho potuto.

La mia bolla di plastica fa molta fatica a restare dritta. A volte mi sbilancio e rotolo via, quindi ho deciso di stare ferma. Ci sto provando. Davvero. A silenziarmi la pelle e tenere i pugni stretti in tasca.

Mi scrivo dentro una preghiera, mentre butto via qualcosa. Dovrei saperla fare la differenziata. Anche se ci sono così tante scatole, adesso.

Toccami. Tu che pulisci le strade, tu che vai a scuola, tu che aspetti il bus. Tu che dici permesso.

Toccami le clavicole. Toccami le ciglia. Toccami i polsi. I capelli.

Toccami le dita. Toccami gli alveoli. I fianchi. Le arterie.

Toccami le caviglie. Gli avambracci. Lo sterno. Il sistema linfatico.

Tocca tutte le mie autostrade, scorrimi dentro come il traffico all’ora di punta.

Delia Cardinale

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