Una strada con le orecchie
Ho visto un coniglio nero correre sull’asfalto.
Ma guarda – ho pensato – una strada con le orecchie!
Ero felice. Poi mi è tornato in mente che non sono fatta per la doppia corsia. Avrei forse potuto aspettare che il fiammifero mi bruciasse le dita. Ma non mi andava, proprio non mi andava di soffrire salando la pasta. E allora ci ho soffiato sopra. Che morisse prima di dire “eccomi”. Non avrei saputo cosa rispondergli. E forse non avrei visto la strada con le orecchie. Non mi sarei ricordata la filosofia delle parallele e, né, soprattutto, il modo in cui mi ha ferita. Che poi, si può ancora essere felici? Felici per davvero. Come quando da piccoli si resta nei bordi, intendo. Come quando mangi il sugo della nonna o prendi la mano di qualcuno per mostrargli un coniglio che corre. Dobbiamo essere realisti.
Basta giocare.
Non sono mai riuscita a finire il tetto della mia casa: nella scatola dei lego è sempre mancato un mattoncino. Non esisteva il reso quando l’ho comprata. Agli altri bambini dicevo che non capivano niente, che quel buco era un compluvium e che la mia casa era molto antica. Ma non era vero: ci ho sempre messo sopra un libro aperto.
Basta giocare.
Eppure c’è qualcuno che inventa ghirigori per ringhiere.
Qualcuno…dove sei? Tu che inventi ghirigori per ringhiere? Mi piacerebbe ti sedessi accanto a me per parlarmi. Cosa pensi oltre la struttura? Perché è tutto lì, credo. In quel gioco di pieni e di vuoti, fiamma e cristallo, parchi e autostrade. Tutto lì, sotto gli occhi notturni degli insonni che vedono il dirimpettaio da certe assurde losanghe, da certi strabilianti oblò… e lui, quell’uomo che fuma in canottiera. Lui è proprio come me e come te. Non guarda la ringhiera, ma il vuoto intorno. La gomma bucata, i conti che non tornano, una donna che non c’è o se c’è è come il dentifricio bianco pastoso.
Lui pensa alla felicità, come me e come te. All’eucalipto, ai microgranuli, a qualche bioluminescenza verde speranza che non muore col passare delle ore.
Se solo avessi speso di più – si dice.
E ci somiglia in questo perché non vale solo per il dentifricio. Se e solo se. Come la matematica alle medie che è un po’ tutta la vita. Di certi notturni insonni. Di certi conigli che rischiano la vita. Di certe mani che si toccano per non ritrovarsi più.
Il dio delle ringhiere si prende gioco di noi che non sappiamo essere felici.
Lo immagino mentre gioca col mio mattoncino blu, col tuo mattoncino giallo.
Perché siamo solidi
come ciò che ci manca
e non possiamo mischiarci.
Noi, il verde, non sappiamo farlo.
Delia Cardinale
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