Gabriel
Ti piace il mio bellissimo trono d’immondizia? Guardami signoreggiare i vuoti a perdere, cercare vetri azzurri sotto un cielo di plastica, succhiarmi via dalle dita lo sporco degli anni, tutte quelle piccole morti. Tutte quelle piccole puttane. Guardami mentre affilo gli artigli sulle pagine dei libri, scopandoli come mai potrei scopare la realtà. E c’è l’Edipo Re che prende a schiaffi Freud, Medea in processione, Didone sulle ginocchia di Annibale, L’Yggdrasill che fa l’amore con Ecate sanguigna, un Otello balbuziente che s’iscrive a economia. Il Nazareno con la colt, Justine vestita da sposa, Cappuccetto rosso a Manhattan, Lucìa caporeparto a ginecologia e, bellissima, Emma Bovary che legge d’Orlando all’orecchio di Hawthorne. Guardami accarezzare condizionali nelle mutande, tessere autostrade tra una vertigine e l’Olanda, inventarti da cima a fondo come una casa d’inchiostro. Guardami mentre ti scopo con la biro, da parte a parte, conoscendo di te ogni fibra nervosa, l’intenzione che precede ogni fottuta parola. Guardami mentre fingendo di fregarmene, spero di scriverti milioni di poesie sull’epidermide, milioni d’inevitabili canzoni, miliardi di libri che non leggerai. Non ne avrai alcun bisogno: tu sei la pagina, il mio regno da inventare e stropicciare e amare, detestare, santificare, buttare nel cesso, celebrare uccidere. Un mandala da colorare sconfinando. Qualcosa che abbia il misero e misericordioso potere di distrarmi. Vivo la Torre della Muda che per la mia fame cambierà nome. Questo estremo eccelso rovinoso costante inappagamento, l’elettricità di una tensione costante verso un’ipotetica immensità. Qualcosa di pulito. Qualcosa che non esiste: una religione. Umanissima. Come tutto ciò che non si spiega in modo incontrovertibile; e devo devo devo vestire di bellezza. Devo dimenticare che penso sempre ed esclusivamente a me stesso: ciò che mi appaga e ciò che mi ripugna. Fossi Dio… non lo sono. Fingo. Come una poesia triste tra i coriandoli, convincendomi di avere sempre ragione. Avesse questo il minimo senso nella grandezza dell’Universo.
Fossi davvero tu la mia ragione di vita. E invece no. Invece no. Vorrei, ma ho una voglia continua di lavarmi le mani.
Tornare a masturbare la terra.
Delia Cardinale