Lia
L’erba ingiallita dal sole aveva quell’odore peculiare di essiccato, che si mescolava con il sale e con il sudore, con il marino e con il terrestre.
Ogni venerdì pomeriggio alle tre e tre quarti Lia era lì, a prendersi in testa le pigne rotonde dei cipressi nelle giornate di vento.
Nel paese di Vuotolandia c’era un’unica stagione che si spalmava sui mesi con diverse sfumature di arancione.
I gradi non scendevano mai al di sotto di trenta e il vento occupava in pianta stabile le strade.
Quel giorno tirava forte, e spingeva anche, i vuotolandiani dovevano essere parecchio di malumore, quella notte gli spiriti avevano tenuto un banchetto e solo i neonati erano riusciti a dormire di un sonno sereno.
I capelli di Lia erano tutto un groviglio, pieni di pollini e nidi di pettirossi, mentre già da tre quarti d’ora leggeva un libro d’amore con le gambe accavallate e le scarpe dimenticate chissà dove.
Il custode del cimitero ormai la conosceva bene, mentre il fioraio le metteva da parte i fiori più belli, Semprevivi dalle varie sfumature e Curcuma viola.
Quando era nel suo involucro di carne avrebbe voluto aprire un negozio di fiori, libri e colazioni dal mondo.
Giunta alla fine del capitolo chiuse il libro e tornò, piena d’aria nel petto, nel suo ovale incorniciato di bronzo.
La sua ora nel mondo reale per quella settimana era finita, gli spiriti dei suoi cari l’aspettavano con affetto per una panzerottata.
Neanche quella notte ci sarebbe stata pace per i vivi.
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Testo di Tiziana Natilla
per il laboratorio di scrittura creativa “La cosa che ho amato di più è stata l’aria” condotto da Annalisa Falcicchio
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