Il peso specifico
Mentre mangio inietto di acqua il boccone a ché scenda già spolpato, acido muriatico a rimuovere incrostazioni.
Trasparenti placcano le arterie dell’anima.
Devota religiosa sul cesso, urgente militanza.
Il cibo tocca lo stomaco, faglie a creare smottamenti. Sprigiona il magma lo spazzolino conficcato in gola. Sei, otto, quindici centimetri perché le patatine vadano contromano, e possano disossarsi dai muscoli, dalla pelle appesa che non è più litosfera dei miei tendini. Le creste del mio grembo sono spuntoni rocciosi che non danno appiglio.
Un pugno di stoffa conficcato in bocca.
Soffoco. Mi soffochi.
Sotto le unghie residui tronfi del peccato, i denti bucati dall’erosione del martirio. Perdona padre! Benedici questo pane quotidiano che non voglio, che non amo. Che non m’amo.
Devo vomitarci, lo capisci vero? (I sentimenti mi ammalano. Bocconi di carne faticosa che ciancico inetta fra i molari). Ho una nenia blues che mi suona dall’esofago. Una chitarra ancestrale la voce che detta l’ostinazione del mio esorcismo, per curare la carestia d’amore. Che per vivere devo espellere, fare la conta delle calorie come tabellina del due. Un filo cremisi oggi si è mescolato al pastoso fiato dello sforzo.
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Testo di Stefania Zecca per La poesia del tutto, laboratorio di Colori Vivaci condotto da Sabino De Bari
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