Colpa di Maggio e Madame Bovary
Iago si era preso un anno sabbatico.
L’altro ieri l’ho trovato in cucina che leggeva il giornale.
Sono arrivato solo in fondo alla strada – mi ha detto. Non ho fatto il cammino di Santiago e Il mio non era un prepensionamento.
Mi guardava sardonico dalla cronaca nera, aspettando che dicessi qualcosa.
Ma sono riuscita solo a schivare pavidamente le reali motivazioni del suo trionfante ritorno.
Ti ho rifatto il letto – gli ho riferito rassegnata. E Togli i piedi dal tavolo! – ho ribadito come se m’importasse.
La consapevolezza che Iago riesca sempre a trovare di che vivere, con le sue inattaccabili ragioni, lungo le strade dissestate del mio sentire, mi fa incazzare. Sono incazzata come può esserlo solo chi perde al solitario.
Guardo il pavimento macchiato, i vetri opachi, le mele marce, l’ennesimo atto di fede nello sciacquone. L’ennesimo ritorno del conto da pagare, al bar e sui cuscini. L’ennesimo bicchiere vuoto.
Ho costruito un castello che è un monolocale. Diluito la rabbia in parole dense e sincopate, più nere della mezzanotte. Più tristi delle puttane tristi. Parole che ho tradotto anche in francese, per fingere un dialogo che è solo una lunga confessione. Non a lei, che non può capire le metafore. Ma a me stessa e alla mia perniciosa capacità di immaginare. Ho dovuto dire a me stessa che la carta di una galatina sul marciapiede non ha nessun significato intrinseco o estrinseco. Che nessuno ha mai scritto la Stra-Commedia. Che la connessione tra due occhi azzurri e l’infinità del mare è puramente casuale. Ancora e ancora che le violaciocche centenarie non esistono e che la devo smettere di inventare storie.
La confusa e sleale maratona dei pensieri incide scie indelebili su questo consunto circuito cardiaco. Se fossi una giocatrice d’azzardo scommetterei sul pensiero numero tre. Tra 42 secoli o secondi vincerà lui, mi dico allo specchio.
Maggio in francese si scrive “mai”: che crudele ironia.
Mentre sistemo il cuore in frizeer, tra i piselli e il gelato al cocco, Iago guarda la mia maratona in TV e tifa per qualche numero che io vorrei non avesse mai sentito lo sparo.
Non c’è nessun fazzoletto – affermo stancamente, accasciandomi pesante sul divano, accanto a lui.
Staremo a vedere, mia piccola bimba azzurra…
Ma chi cazzo sei? Che cazzo vuoi?
Sai benissimo che sono per te l’assassino. Ma io non l’ho mai scelto…ti ricordi? Mi hai inventato tu, per dirti quello che non vuoi dire a te stessa. Shakespeare ti è sempre piaciuto…
Si ok… passami i pop corn…
Fa ridere perché mi hai fatto le gambe da grillo.
Beh…non mi piace solo Shakespeare…
Devo proprio smetterla di inventare storie.
Delia Cardinale