Nella parte finale del film, mentre la Parthenope matura – nei panni di Stefania Sandrelli – fa i conti con il suo passato, s’intravede per un attimo il panorama largo di Punta Carena, ad Anacapri.
La mia amica, tempo fa, mi ha portato là di sera, dicendomi: vedrai, da questo terrazzo si capisce davvero che la Terra è rotonda.
Avevo con me la mia prima macchina fotografica digitale, allora: un megapixel di immagini sgranate e approssimative, e con quella pretendevo di immortalare la vastità del mondo.

Ci sono tornato nei dialoghi e nei pensieri di Parthenope, qualche giorno fa. L’ho vista nel fiore della giovinezza, insieme a due ragazzi, sulla pedana di cemento che, ai piedi del faro, si tuffa in quell’acqua già profonda e blu, s’intrufola fra gli scogli creando mondi sommersi. Di quel posto ricordo dei panini con pomodoro, basilico e mozzarella di bufala che sapevano di miracolo e la grande bellezza del mondo che si nasconde sotto il pelo dell’acqua, e si lascia scoprire solo se hai la lente adatta.
La poesia non tutti la capiscono: è così da sempre, e non è detto che sia un male. È un immenso piacere essere fra quei privilegiati che, almeno, si sforzano di farlo perché, come ripeto spesso, le cose più belle della vita costano sempre un po’ di fatica. Anche la poesia. E non tutti sono disposti ad affrontarla, quella fatica. Però, come succede in montagna, dopo che le tue gambe hanno tenuto duro per ottocento metri di dislivello e il panorama dalla vetta ti riempie il cuore di gratitudine, quando entri nel ritmo visivo e musicale della poesia il mondo si schiude a infinite possibilità di bellezza, l’orizzonte della meraviglia diventa tanto vasto da non riuscire a raccoglierlo tutto con un solo sguardo. O con un megapixel. E neanche con i sessanta di una fotocamera più moderna, no: meglio stare lì e lasciarsi assorbire.

Ricordate quando, a scuola, volevano cercare di dissezionare le poesie, spiegandovi parola per parola e arrogandosi la pretesa di sapere tutto ciò che l’autore intendeva? Ricordate quanto fossero capaci di trasformare la magia in noia? Ecco: diffidate da chiunque cerchi di fare qualsiasi analisi tecnica di questo film, soprattutto se non ha mai tenuto in mano una macchina da presa.

Quindi andate a vedere questo film soltanto se siete disposti.
Nell’infinita bellezza della città di Napoli, declinata in ogni sua forma, e della giovinezza, colta in ogni sua sfumatura di dolore e profondità, si gode solo attraversando anche un po’ di orrore, e di lui si potrebbe addirittura arrivare quasi a dire: è bellissimo, come fa la donna Parthenope, davanti alla surreale deformità del figlio del professore.

Manlio Ranieri

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