Ascolto una canzone degli anni ’90: un pezzo che ha un incedere cadenzato, con un ritmo morbido ma irresistibile e un’atmosfera malinconica. È un brano che ho amato molto, nel suo essere così crudele

Ci hanno tagliato gli ormeggi, e siamo alla deriva
Ma ancora galleggiamo
Mi tengo su soltanto
Per vederti affondare, amore mio

Nel frattempo, guardo fuori dalla finestra: osservo il cielo plumbeo di questo giorno d’autunno, che si è presentato con tutti i crismi a cavallo del maestrale che biancheggia la superficie argentata del mare in piccole meringhe di spuma e, nel frattempo, inzuppa l’aria con una pioggerella fine, che forse adesso si è interrotta per un attimo.
Lo capisco perché, spostando lo sguardo nel giardino sotto casa, nell’erba di un’aiuola vedo un ragazzino in tuta nera, col cappuccio calato sulla testa a mo’ di Black Block, che danza leggiadro. L’effetto è magico: sembra che il suo ballo si accordi perfettamente alla canzone che sto ascoltando. Mi perdo per un attimo a contemplare quella danza lieve, consapevole di trovarmi al cospetto di una sequenza che sarebbe stata perfetta in un film francese d’essai.
Passa un minuto, forse meno, e la canzone finisce. Come un miracolo, in quello stesso momento il ragazzino smorza la sua danza in un ultimo movimento che si dissolve nell’aria umida.
Avrei potuto fermarmi, qui, distogliere il mio sguardo dalla finestra, ma ero troppo ipnotizzato. Dopo, il ragazzo si è avvicinato al suo smartphone – appoggiato al ramo di un albero – e ha interrotto la ripresa, mandando in frantumi la poesia del momento.
Ho pensato che odio i video degli adolescenti che ballano su Tik-tok.
Ho pensato che la canzone al cui ritmo stava ballando, era sicuramente molto meno bella di quella che stavo ascoltando io.
Ho pensato che non so neanche perché.
Ho pensato che, probabilmente, è solo perché sono vecchio.
Ho pensato che potevo mettere da parte me stesso, per un attimo, e provare a capire quel ragazzo e la sua danza.
Ho pensato che quella che avevo visto io, nella mia sequenza di una pellicola d’autore, e quella che stava mandando in scena lui sul social network, potessero andare d’accordo in qualche modo, così come era effettivamente successo un attimo prima.

E non sai se è paura o desiderio
Il rischio che c’è nella droga che ti porta in alto
La testa in cielo e le dita nel fango

 

Testo e fotografia di Manlio Ranieri

So Cruel by Manlio Ranieri is licensed under CC BY-NC-ND 4.0

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